Scuola diocesana di catechesi



Relazione tenuta da don Tonino Lasconi ai sacerdoti di Camerino. (22/01/2020)
IL VOLTO MISSIONARIO DELLE PARROCCHIE IN UN MONDO CHE CAMBIA
Camerino 22 gennaio 2020 – Beato Rizzerio
(Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020 Pubblicati il 28 ottobre 2010 dal titolo: “Educare alla vita buona del Vangelo”. “Comunicare il Vangelo in mondo che cambia”, 29 giugno 2001; La nota pastorale CEI “Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia” è del 30 maggio 2004”; Comunicazione e Missione, Direttorio sulle comunicazioni sociali nella missione della Chiesa. Episcopato italiano – Roma, 18/06/2004. “Questa è la nostra fede”…)
Cosa hanno prodotto non si sa, perché non è stata fatta nessuna verifica. La nota pastorale che ci interessa è invecchiata e superata? A occhio e croce, sembra che dopo 16 anni sia ancora attualissima. E non è un buon segno!
Di tantissime cose (il solito enciclopedismo dei documenti) che questa piccola Nota Pastorale del 2004 contiene, prenderò in considerazione soltanto ciò che riguarda più direttamente noi preti, soprattutto parroci, cioè ciò che dipende da noi, e ciò che richiede la nostra diretta collaborazione e responsabilità, che possiamo e dobbiamo fare noi altrimenti non si fa, sulle RICADUTE nella nostra vita concreta, accennando al resto in funzione a questo punto di partenza (il n° 12)
1. LA PASTORALE VA RINNOVATA E QUINDI LA PARROCCHIA VA RINNOVATA
Questa esigenza è la ragione e la sintesi del documento.
“Una pastorale tesa unicamente alla conservazione della fede e alla cura della comunità cristiana non basta più. È necessaria una pastorale missionaria, che annunci nuovamente il Vangelo, ne sostenga la trasmissione di generazione in generazione, vada incontro agli uomini e alle donne del nostro tempo testimoniando che anche oggi è possibile, bello, buono e giusto vivere l’esistenza umana conformemente al Vangelo e, nel nome del Vangelo, contribuire a rendere nuova l’intera società”.
Questa operazione di rinnovamento della pastorale riguarda prevalentemente la parrocchia:
“un segno, tra le case degli uomini, di quella casa che ci attende oltre questo tempo, «la città santa», «la dimora di Dio con gli uomini» (Ap 21,2-3), là dove il Padre vuole tutti raccogliere come suoi figli” (finale).
(Forse ci sono stati periodi nei quali la parrocchia non era più così apprezzata… era allora il tempo di cominciare a rinnovarla, invece di andare dietro a facili sogni di gloria…)
Se era vero e urgente nel 2004, tanto lo è più oggi.
Le motivazioni più evidenti ed emergenti:
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Differenza tra parrocchia come territorio (abitanti tanti: anime) e parrocchia come comunità di persone credenti (pochi: praticanti). Non sono mai stati “coincidenti”, ma oggi la differenza è abissale (es. della giornalista mia “parrocchiana” da un anno – a cento metri della chiesa con il figlio al campo estivo, mi intervista e non sa che sono il suo parroco…)
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Perdita della rilevanza sociale. Fuori della parrocchia c’è tutto: di più e meglio. Una volta aveva tutto e su questo si è cullata. (Es. Tessera ACI a Fano)
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LA CRISI è DI FEDE più che di PRATICA. Secolarismo. Lontananza dalla fede, più grave di quella dalla pratica: la vera emergenza.
RICADUTE SU NOI PARROCI
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l parroco da “il signor curato” a “riciclato in improvvisato missionario”. Protestare perché non vengono? Fare in modo che tornino o che comincino a venire.
“Non si può più dare per scontato che si sappia chi è Gesù Cristo, che si conosca il Vangelo, che si abbia una qualche esperienza di Chiesa. Vale per fanciulli, ragazzi, giovani e adulti; vale per la nostra gente e, ovviamente, per tanti immigrati, provenienti da altre culture e religioni. C’è bisogno di un rinnovato primo annuncio della fede”. “Al pastore sono richieste la custodia e la ricerca”.
Aspettare che vengano, lamentarsi perché non vengono, rimproverare quelli che sono venuti perché quelli che non vengono…. Non basta più. -
Fine del parroco “qui il papa e il vescovo sono io”.
“Se è finita l’epoca della parrocchia autonoma, è finito anche il tempo del parroco che pensa il suo ministero in modo isolato; se è superata la parrocchia che si limita alla cura pastorale dei credenti, anche il parroco dovrà aprirsi alle attese di non credenti e di cristiani “della soglia”.
Anche perché si va verso una mobilità sempre maggiore. Essendo poche le pedine, muovendone una, si muovono tutte, o molte altre.
Rischi spirituali e culturali (possono essere spirituali):
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Scoraggiamento, resa, “ci penseranno quelli che vengono dopo!
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Negazione del problema e nostalgia del passato
“E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri, e si perdono vino e otri. Ma vino nuovo in otri nuovi!» (Mc 2,22)
“Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (Mt 13,52)
2. TENTATIVI E PROPOSTE PER IL RINNOVAMENTO
L’esigenza del rinnovamento è esplosa con una combinazione micidiale! Proprio quando c’era bisogno di più forze, queste sono venute a mancare: diminuzione delle vocazioni e invecchiamento dei sacerdoti. Presi alla sprovvista, abituati (da bravi italiani) a intervenire soltanto sull’emergenza, si è cercato di risolvere in maniera improvvisata:
a. Accumulo di parrocchie, parroci pluriparrocchiati
Perciò il ricorso a soluzioni di emergenza: accumulo di parrocchie su ogni parroco; sacerdoti stranieri; preti più o meno vaganti.
Rischi:
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dissapori con la gente e perdita di contatto “umano” e spirituale. Non si accettano più decisioni che cadono dall’alto
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diminuzione inevitabile delle attività pastorali (es. di Nebbiano), contributo all’abbandono della pratica e lontananza dalla vita della parrocchia. E la parrocchia oltre che marginalizzata dalla società cambiata si automarginalizza ancora di più.
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riduzione dell’attività pastorale ai riti ai “funerali”: tutto il tempo per i riti. Con diminuzione dell’autostima e dell’entusiasmo pastorale.
L’esatto contrario di ciò che il rinnovamento richiede!
b. Zone pastorali, unità pastorali.
Inizialmente “integrative” (ti manca una Messa te la vengo a celebrare io; ti manca una catechista…), poi più “aggregative” (organizziamo insieme l’orario delle Messe feriali e domenicali; organizziamo insieme la catechesi). Anche questa soluzione, oltre a scontrarsi con la mentalità e l’educazione individualistica di noi preti, va incontro a scontentezze e a malumori della gente, soprattutto se messe in atto soltanto per “togliere”, non per organizzare un servizio migliore. Operazioni in corso con sperimentazioni varie.
Rischio: fatte sopra la testa della gente, non tanto per esigenze pastorali e missionarie, ma “clericali”
3. COSA RICHIEDE A NOI SACERDOTI?
sbrigativamente potremmo dire: non mettiamoci di traverso, aumenterebbero le difficoltà
Consapevolezza e collaborazione dei parroci: santità e professionalità!
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Prima di tutto la disponibilità mentale e spirituale a cambiare, rafforzando il nostro spirito di servizio, vincendo il rimpianto e la nostalgia, nonché la tentazione dei mettersi da parte.
“Ma è richiesto anche un ripensamento dell’esercizio del ministero presbiterale e di quello del parroco. Se è finita l’epoca della parrocchia autonoma, è finito anche il tempo del parroco che pensa il suo ministero in modo isolato; se è superata la parrocchia che si limita alla cura pastorale dei credenti, anche il parroco dovrà aprirsi alle attese di non credenti e di cristiani “della soglia”.
E’ un ritorno all’antico: la parrocchia non come struttura stabile, ma mobile, missionaria, provvisoria… (tante parrocchie dei centri storici…, delle frazioni svuotate…)
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Porsi in maniera diversa nei confronti della diocesi. In qualche modo: parroci della diocesi non solo di una porzione. Disponibilità al cambiamento perché le situazioni cambiano in fretta. Questo però presuppone un piano pastorale che, con le inevitabili interpretazioni personali, segua delle costanti rispettate da tutti.
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Lavorare in “rete”, non solo per integrare ma per aggregare. Accettare di collaborare con gli altri sacerdoti. Questo richiede un forte cambio di mentalità: è difficile e non ci siamo abituati.
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Punto qualificante. Stimolare, accettare, promuovere la collaborazione e la corresponsabilità dei laici.
Il documento si esprime così: “Il parroco sarà meno l’uomo del fare e dell’intervento diretto e più l’uomo della comunione; e perciò avrà cura di promuovere vocazioni, ministeri e carismi. La sua passione sarà far passare i carismi dalla collaborazione alla corresponsabilità, da figure che danno una mano a presenze che pensano insieme e camminano dentro un comune progetto pastorale”.
4. DA FIGURE CHE DANNO UNA MANO A COLLABORATORI A CORRESPONSABILI
Non è un’operazioni facile!
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richiede laici maturi anche dal punto di vista della fede (non li abbiamo formati) “La cura e la formazione del laicato rappresentano un impegno urgente da attuare nell’ottica della “pastorale integrata” e in una duplice direzione. La prima richiede una formazione ampia e disinteressata del laicato, non indirizzata subito a un incarico pastorale e/o missionario ma alla crescita della qualità testimoniale della fede cristiana”.
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più maturi e attrezzati di noi umanamente (duro prenderne atto) e anche professionalmente. Quelli “seri e capaci” non accettano più la sottomissione devota al parroco. Molta umiltà!
Nuove figure ministeriali nell’ambito catechistico e in quello liturgico, nell’animazione caritativa e nella pastorale familiare, ecc. -
Se sono corresponsabili vogliono esserlo sul serio. “Essere consultivi” non basta.
Forme specifiche di corresponsabilità nella parrocchia sono, infine, quelle che si configurano negli organismi di partecipazione, specialmente i consigli pastorali parrocchiali. Altrettanto importante è il regolare funzionamento del consiglio per gli affari economici.
5. PARROCCHIA CASA APERTA ALLA SPERANZA
“Quanto abbiamo indicato andrà costruito con pazienza, secondo le possibilità. Le indicazioni offerte vanno valutate con il vescovo nella concreta situazione della diocesi, sorrette da alcuni atteggiamenti di fondo, che ne qualificano il volto missionario.
Ospitalità.
Un tale spazio non si riduce a incontri e conversazioni. Va articolato e programmato nella forma di una rete di relazioni, attivate da persone dedicate e idonee, avendo riferimento all’ambiente domestico. L’ospitalità cristiana, così intesa e realizzata, è uno dei modi più eloquenti con cui la parrocchia può rendere concretamente visibile che il cristianesimo e la Chiesa sono accessibili a tutti, nelle normali condizioni della vita individuale e collettiva.
Ricerca.
Occorre anche assumere un atteggiamento di ricerca. Cercare i dispersi, azione che connota il pastore e la pastorale, significa provocare la domanda dove essa tace e contrastare le risposte dominanti quando suonano estranee o avverse al Vangelo.
Identità
“A nulla però varrebbe accogliere e cercare se poi non si avesse nulla da offrire. Qui entra in gioco l’identità della fede, che deve trasparire dalle parole e dai gesti. Il “successo” sociale della parrocchia non deve illuderci: ne andrebbero meglio verificati i motivi, avendo buone ragioni per ritenere che non tutti potrebbero qualificarsi per sé come evangelici”.
Da cercare nell’ascolto della parola di Dio: “Per giungere a questa purezza di intendimenti e atteggiamenti è necessario che si coltivi con più assiduità e fedeltà l’ascolto di Dio e della sua parola”
“Possono apparire eccessive, e forse anche troppo esigenti, queste attenzioni che riteniamo necessarie per dare un volto missionario alla parrocchia. Esse comportano fatica e difficoltà, però anche la gioia di riscoprire il servizio disinteressato al Vangelo. Ma attraverso di esse si può giungere a condividere le felicità e le sofferenze di ogni creatura umana. Una condivisione sostenuta dalla «speranza [che] non delude» (Rm 5,5). Perché la speranza cristiana ha questo di caratteristico: essere speranza in Dio”.
Parrocchia: un segno, tra le case degli uomini, di quella casa che ci attende oltre questo tempo, «la città santa», «la dimora di Dio con gli uomini» (Ap 21,2-3), là dove il Padre vuole tutti raccogliere come suoi figli. E’ bello e incoraggiante pensare la parrocchia così e pensarsi parroci così.
Relazione tenuta da don Tonino Lasconi ai sacerdoti di Camerino. (18/12/19)
CHRISTUS VIVIT
Esortazione apostolica di papa Francesco, 25 marzo 2019
Come per Evangelii gaudium non presenterò l’esortazione apostolica in maniera ampia e approfondita, capitolo per capitolo. Prenderò come riferimento il capitolo 7: La pastorale giovanile, sicuramente quello che ci interpella di più, con richiami agli altri 8 capitoli. Anche del capitolo della “pastorale giovanile” non farò una presentazione “professorale”, ma, tenendo presente che siamo preti e parroci piuttosto “diversamente giovani”, cercherò idee, spunti, stimoli per la nostra attività pastorale giovanile.
1. IL PUNTO DI PARTENZA: LA PASTORALE GIOVANILE È IN DIFFICOLTÀ
Lo sappiamo benissimo. Chi meglio di noi? I motivi: i cambiamenti sociali e culturali: nipoti del ’68! Contestazione del principio di autorità (e quindi della religione e della fede, anche perché molto tradizionalista e devozionale), rivoluzione sessuale, individualismo: un colpo al cuore alla religiosità tradizionale. I giovani sono cambiati: «nelle strutture consuete, spesso non trovano risposte alle loro inquietudini, alle loro esigenze, alle loro problematiche e alle loro ferite».
Dobbiamo cambiare anche noi. Il papa suggerisce di «invitare i giovani ad avvenimenti che ogni tanto offrano loro un luogo dove non solo ricevano una formazione, ma che permetta loro anche di condividere la vita, festeggiare, cantare, ascoltare testimonianze concrete e sperimentare l’incontro comunitario con il Dio vivente». Con parole povere: noi siamo troppo spesso rimasti a “riunione catechistica”. Quella che: “Venite che stasera parliamo di…”. Magari prima facciamo la pizzata però per arrivare alla “riunione” nella quali noi spieghiamo. Quello che siamo stati abituati a fare e che un po’sappiamo fare. Un po’, perché anche a questo proposito non sempre ci siamo aggiornati sulle necessarie tecniche per soddisfacenti e produttivi incontri di gruppo.
Dalla pastorale “ci penso io e decido io”, si deve passare alla pastorale “sinodale” (parola magica ormai): non uno che la pensa, che la organizza, che la fa, pensata, organizzata e vissuta con gli interessati, con i giovani.
Noi: “Ce ne fossero di giovani disponibili per organizzarla!”. Puntare e provare con la “quinta colonna”: un gruppetto di giovani collaboratori … (una parola che ci impegnerà nel prossimo incontro).
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PER CAMBIARE E RINNOVARE: modalità sinodale
a. La ricerca: trovare vie attraenti per invitare»: «Dobbiamo soltanto stimolare i giovani e dare loro libertà di azione». Va privilegiato «il linguaggio della vicinanza, il linguaggio dell’amore disinteressato, relazionale, esistenziale, che tocca il cuore», avvicinandosi ai giovani «con la grammatica dell’amore, non con il proselitismo». Significa stare vicini, accettare le loro proposte che non sempre coincidono per modalità e contenuti con le nostre idee e la nostra sensibilità (Esempi: il rumore, il disordine).
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b. La crescita:
Non essere frettolosi a proporre «incontri di “formazione” nei quali si affrontano solo questioni dottrinali e morali… Il risultato è che molti giovani si annoiano.
Non partire dal libro ma dalla vita, con la strategia del confronto. -
Momenti che aiutino a rinnovare e ad approfondire l’esperienza personale dell’amore di Dio e di Gesù Cristo vivo»: “vissuti” che aiutino i giovani a «vivere come fratelli, ad aiutarsi a vicenda, a fare comunità, a servire gli altri, ad essere vicini ai poveri». Volontariato, servizio, carità…
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Ambienti adeguati per l’accoglienza:offrire ai giovani luoghi appropriati, che essi possano gestire a loro piacimento e dove possano entrare e uscire liberamente, luoghi che li accolgano e dove possano recarsi spontaneamente e con fiducia per incontrare altri giovani sia nei momenti di sofferenza o di noia, sia quando desiderano festeggiare le loro gioie». Occhio, però!
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Serve «una pastorale giovanile popolare». Non soltanto studenti! Non da “élite”: «non porre tanti ostacoli, norme, controlli e inquadramenti obbligatori a quei giovani credenti che sono leader naturali nei quartieri e nei diversi ambienti. Dobbiamo limitarci ad accompagnarli e stimolarli»
“Chiesa con le porte aperte: non è nemmeno necessario che uno accetti completamente tutti gli insegnamenti della Chiesa per poter partecipare ad alcuni dei nostri spazi dedicati ai giovani» «deve esserci spazio anche per tutti quelli che hanno altre visioni della vita, professano altre fedi o si dichiarano estranei all’orizzonte religioso». -
Accettare una fede imperfetta? “Ciò implica che i giovani siano guardati con comprensione, stima e affetto, e non che non li si giudichi continuamente o si esiga da loro una perfezione che non corrisponde alla loro età». Ciò comporta l’abbandono di una nostra radicata mentalità: battezzati, comunicati, cresimati, perciò cristiani e da cristiani devono comportarsi, altrimenti… Es. il precetto festivo, la sessualità, la convivenza prematrimoniale e stabile, le scelte partitiche…
Non sono evangelizzati ma catechizzati! Devono ancora fare la loro scelta: “saper «camminare insieme» ai giovani rispettando la loro libertà”, e il loro percorso
2. CONDIZIONI (prerequisiti)
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a. Una chiesa giovane. Non giovanilista. Coraggiosa, che guarda avanti, che ha fiducia, aperta ai cambiamenti. (capitolo 2) “È giovane quando è sé stessa, quando riceve la forza sempre nuova della Parola di Dio, dell’Eucaristia, della presenza di Cristo e della forza del suo Spirito ogni giorno». Anche noi sacerdoti non più giovani possiamo e dobbiamo mettere il nostro impegno affinché la Chiesa che ci è stata affidata sia giovane.
Ciò significa fare spazio a idee nuove, a comportamenti nuovi (via il clericalismo: qui comando io!), non chiedere soltanto servizi, ma dare responsabilità (non giovani risorsa per il futuro, ma vivi oggi), (il capitolo 3: Voi siete l’adesso di Dio, sui giovani nella Bibbia).
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B. Capace di annunciare: tre grandi verità. (capitolo 4)
1. Un «Dio che è amore» e dunque «Dio ti ama, non dubitarne mai»
2. «Cristo ti salva». «Non dimenticare mai che Egli perdona settanta volte sette.
3. «Egli vive!». «Occorre ricordarlo… perché corriamo il rischio di prendere Gesù Cristo solo Cristo solo come un buon esempio del passato, come un ricordo, come qualcuno che ci ha salvato duemila anni fa.La predica! Il catechismo! Questa “condizione” ci interpella fortemente, perché il fatto di essere “anziani” non ci dispensa dall’impegno di annunciare il vangelo in maniera efficace. Per essere brevi e sintetici non occorre essere giovani. Siamo sinceri: siamo stati e siamo un disastro. Abbiamo sciupato un’occasione che nessuna altra agenzia ha avuto a disposizione.
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Radicare la fede nella realtà (capitolo 5). «L’impegno sociale e il contatto diretto con i poveri restano una occasione fondamentale di scoperta o approfondimento della fede e di discernimento della propria vocazione» (170). Il Papa cita l’esempio positivo dei giovani di parrocchie, gruppi e movimenti che «hanno l’abitudine di andare a fare compagnia agli anziani e agli ammalati, o di visitare i quartieri poveri» (171). Mentre «altri giovani partecipano a programmi sociali finalizzati a costruire case per chi è senza un tetto, o a bonificare aree contaminate, o a raccogliere aiuti per i più bisognosi. Sarebbe bene che questa energia comunitaria fosse applicata non solo ad azioni sporadiche ma in modo stabile».
Proporre esperienze diversificate e molteplici per dare a tutti la possibilità di sperimentare e di rimanerne sensibilizzati.
3. ATTENZIONI
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a. No a giovani senza radici. Dialogo e collaborazione tra generazioni (capitolo 6). «vedere alcuni propongono ai giovani di costruire un futuro senza radici, come se il mondo iniziasse adesso». Se qualcuno «vi fa una proposta e vi dice di ignorare la storia, di non fare tesoro dell’esperienza degli anziani, di disprezzare tutto ciò che è passato e guardare solo al futuro che lui vi offre, non è forse questo un modo facile di attirarvi con la sua proposta per farvi fare solo quello che lui vi dice?”. No alla adorazione della giovinezza: «Il corpo giovane diventa il simbolo di questo nuovo culto… ciò che non è giovane è guardato con disprezzo.
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La vita come vocazione (capitolo 8). «La cosa fondamentale è discernere e scoprire che ciò che vuole Gesù da ogni giovane è prima di tutto la sua amicizia» (250). La vocazione è una chiamata al servizio missionario verso gli altri, «Perché la nostra vita sulla terra raggiunge la sua pienezza quando si trasforma in offerta» (254). «Per realizzare la propria vocazione è necessario sviluppare, far germogliare e coltivare tutto ciò che si è. Non si tratta di inventarsi, di creare sé stessi dal nulla, ma di scoprirsi alla luce di Dio e far fiorire il proprio essere» (257). E «questo “essere per gli altri” nella vita di ogni giovane è normalmente collegato a due questioni fondamentali: la formazione di una nuova famiglia e il lavoro» (258).
Un’altra nostra grave lacuna è stata avere riservato la vocazione a “preti frati e monache”, lasciando la famiglia alla “legge dello Stato”…. Finché ci risparmiava la fatica…
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Il discernimento (capitolo 9).
Non sostituirsi o imporsi, ma accompagnare, pronti a togliersi e a lasciare andare. Si devono «suscitare e accompagnare processi, non imporre percorsi. E si tratta di processi di persone che sono sempre uniche e libere».
La scarsità del numero non deve giustificare la scarsità della vita e delle motivazioni.
4. CONCLUSIONE: Resistenza o resa? (Dietrich Bonhoeffer)
Non abbiamo tante possibilità, o ci lasciamo andare nella insoddisfazione, nella nostalgia del bel tempo passato e nella lamentela della cattiveria del tempo presente, oppure diamo alla Chiesa di oggi e al nostro oggi tutto quello che ancora siamo in grado di dare.
La soluzione è accettare dei collaboratori che non siano considerati e trattati come “manodopera”, ma come corresponsabili.
Su questo ci fermeremo e rifletteremo nel prossimo incontro, con la Nota pastorale della CEI: “Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia” swl 30 maggio 2014.
d. Tonino Lasconi
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Trasformazione missionaria della Chiesa
Relazione tenuta da don Tonino Lasconi ai sacerdoti di Camerino.
Premessa: non voglio fare una presentazione di tipo scolastico, ma una riflessione trasversale, attorno a tre parole, care a papa Francesco: uscita, periferie e odore delle pecore.
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Uscita
La Chiesa è fatta per andare.
Gesù esce, cammina, incontra. E lascia ai suoi questa consegna: “Andate e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 19-20).
“Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano” (Mc 16, 20).
La Chiesa dovrebbe essere in uscita, ma in realtà appare ferma e statica.
Chiesa in uscita, ma da che cosa?
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Dalle cose come stanno nell’attuale pastorale. E’ necessario avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria: strutture ecclesiali, orari, stili, parrocchie, movimenti, associazioni, vescovi, sacerdoti, laici.
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Dal “si è fatto sempre così”.
“Invito tutti ad essere audaci e creativi” (EG 33).
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Dal“Cosa” comunicare del messaggio: perdersi su aspetti marginali, dimenticando l’essenziale.
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Dal “Come” comunicare: “esprimere le verità di sempre in un linguaggio che consenta di riconoscere la sua permanente novità….trasmettere all’uomo di oggi il messaggio evangelico nel suo immutabile significato” (EG 41).
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Dalle consuetudini belle e radicate, ma…”Possono essere belle, però ora non rendono lo stesso servizio in ordine alla trasmissione del Vangelo. Non abbiamo paura a rivederle” (EG 43).
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Da norme e precetti ecclesiali, una volta molto efficaci, ma che non hanno più la stessa forza educativa come canali di vita.
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Dalla Chiesa dogana: nemmeno le porte dei sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi, in particolare il Battesimo. L’Eucaristia non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli. Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori. La Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa.
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Le periferie
“Dobbiamo riconoscere che l’appello alla revisione e al rinnovamento delle parrocchie non ha ancora dato sufficienti frutti…Si orientino completamente verso la missione” (EG 28).
Ogni comunità e ogni cristiano è invitato “ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo” (EG 20).
Periferie: parola prediletta dal Papa, richiama gli insediamenti ai margini delle metropoli, gli emarginati, le baracche, violenza, droga; ma anche altre più sotterranee e insidiose, come difficoltà, sofferenza, incertezza, scoraggiamento…
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Noi stessi. La nostra età, la nostra formazione, la nostra storia.
Tendenza a considerare il mondo secolarizzato e laicizzato di oggi come un nostro dominio, come un popolo che abbiamo battezzato, istruito, plasmato, governato e che poi si è ribellato. Il nostro futuro e il nostro impegno tende alla riconquista di esso.
Il mondo è cambiato, però continuiamo a ripetere le cose come se non fosse cambiato, magari cercando di aggiornarle, di renderle più simpatiche…oppure mettendo delle toppe; vedi zone pastorali, pluriparroci, stranieri…
L’età. Siamo vecchi. Anziani sì, ma vecchi rassegnati no. Non ci è permesso rimpiangere il passato, perché dobbiamo evangelizzare il presente.
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I “i messaroli”. Quelli che ci sono. Da rianimare. Renderli consapevoli. Portarli a essere collaboratori e corresponsabili. Non li deprimiamo, quasi incoraggiandoli ad andarsene (“siamo pochi, sempre meno; i giovani non ci sono più; i ragazzi, fatta la cresima, se ne vanno; non ci sono più preti…”): incoraggiamoli, stimoliamoli, responsabilizziamoli…
Le zone pastorali, i pluriparroci… Cerchiamo di fare in modo che non ci si riduca a togliere, a diminuire, a dare di meno, ma a dare diverso, di più e meglio.
Occhio! Gran parte del lavoro e di quello che si può fare tocca a noi. Rinnovare l’omelia o la catechesi dipende da noi non dal Vescovo o dal Papa.
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La periferia più: quelli che se ne vanno, quelli andati, quelli mai entrati. La più grande, trascurata periferia.
Dobbiamo decidere ad annunciare il Vangelo. Noi lo leggiamo e spieghiamo a quelli che vengono in chiesa, ripetendo sempre le stesse cose. Non annunciamo. Fuori delle chiese e delle aule di catechismo il Vangelo non circola. Dobbiamo riprendere lo “strada facendo”. Dobbiamo ricordare che “la mia parola è come l’acqua e la neve; non scende senza aver prodotto il suo frutto”. Facciamola scendere.
Il solito ritardo ad accogliere i media: le strade dove far circolare la parola di Dio. Non soltanto adoperandoli, ma conoscendone la lingua e le regole comunicative.
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L’odore delle pecore.
Si può odorare di pecore soltanto se si accetta di essere pastore delle pecore. Ma dobbiamo reinventare un modo nuovo di essere pastori. Sta scomparendo il pastore vecchio stampo: il parroco che conosceva tutti, che sapeva tutto di tutti…, può essere cancellato dal parroco fuggi fuggi, in corsa tra cinque o più parrocchie.
Spirito e spirito
Il modo nuovo è quello di sempre: “Aprirsi senza paura all’azione dello Spirito Santo (preghiera, meditazione, rapporto personale con Gesù) (EG 259) per avere spirito.
Un’evangelizzazione con spirito è molto diversa da un insieme di compiti vissuti come un pesante obbligo che semplicemente si tollera. Il Papa incoraggia “una stagione evangelizzatrice più fervorosa, gioiosa, generosa, audace, piena di amore fino in fondo e di vita coraggiosa! Ma nessuna motivazione sarà sufficiente se non arde nei cuori il fuoco dello Spirito” (EG 261).
Coltivare la gioia e l’orgoglio di essere pastori. Nessuno orgoglio e nessuna gioia se ci sentiamo falliti, se ci sentiamo reduci di una guerra persa. Attenzione a parlare della Chiesa prossima alla scomparsa: preti vecchi, le parrocchie si chiudono, mancano le vocazioni, le chiese si vuotano, vengono solo i vecchi, i ragazzi dopo la cresima se ne vanno…
Vi è chi si consola dicendo che oggi è più difficile…
“E’ salutare ricordarsi dei primi cristiani e di tanti fratelli lungo la storia che furono pieni di gioia, ricolmi di coraggio, instancabili nell’annuncio” (EG 263).
Un modello e una passione: Gesù.
“Gesù stesso è il modello di questa scelta che ci introduce nel cuore del popolo… Affascinati da tale modello, vogliamo inserirci a fondo nella società, condividiamo la vita con tutti, ascoltiamo le preoccupazioni, collaboriamo materialmente e spiritualmente nelle loro necessità, ci rallegriamo con coloro che sono nella gioia, piangiamo con quelli che piangono e ci impegniamo nella costruzione di un mondo nuovo, gomito a gomito con gli altri. Ma non come un obbligo, non come un peso che ci esaurisce, ma come una scelta personale che ci riempie di gioia e ci conferisce identità”(EG 269).